A cura di: Eleonora Morini
Perche' poche donne intraprendono la carriera accademica in medicina?
Autore: Edmundes LDGli autori hanno condotto una revisione della letteratura scientifica ed hanno identificato 52 lavori, pubblicati dal 1985 al 2015 che analizzavano le possibili cause per cui le donne, a livello internazionale, rifiutano o scelgono la carriera accademica in medicina. Le motivazioni ricorrenti erano otto, ed i ricercatori hanno testato quali di queste fossero supportate da dati più certi, ottenuti tramite analisi statistiche che tengono in considerazione i risultati ottenuti in diversi lavori.
E’ quindi emerso che le donne: tra la ricerca e l’insegnamento preferiscono quest’ultimo; rispetto agli uomini, hanno più bisogno di mentori e guide professionali adeguati, che invece molto spesso mancano del tutto; solo quando partecipano attivamente a progetti di ricerca vengono motivate ad intraprendere la carriera accademica; sono ancora vittime di discriminazioni sessuali e pregiudizi.
Invece, non è supportato in modo costante dalle evidenze fino ad ora prodotte, che le donne sono in generale meno interessate alla ricerca rispetto agli uomini, che questo interesse, se presente all’inizio della loro carriera, si va affievolendo con il passare degli anni di pratica, che la scelta è dettata dal minor compenso economico o dalla difficoltà di gestire tale lavoro con la vita privata.
A livello internazionale c’è notevole interesse nel cercare di incrementare il numero di donne che si dedica alla carriera universitaria, perché la loro assenza causa, oltre alla perdita di capitale intellettuale, anche una potenziale mancanza di diversità nel programmare la ricerca futura e nella gestione delle diverse patologie. Questo studio dà alcuni importanti spunti su quali possono essere le reali motivazioni per spiegare lo squilibrio di genere nel mondo della ricerca e quindi le possibili soluzioni su cui investire.
Why do women choose or reject careers in academic medicine?
A narrative review of empirical evidence, Edmundes LD,
“The Lancet”, aprile 2016
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