Digiuno e diete a basso contenuto di zuccheri: con il diabete si puo'?
Introduzione
Per “digiuno” s’intende l’astinenza, più o meno prolungata, dagli alimenti, con “dieta” s’indica invece un consumo controllato di cibi (o una rinuncia ad alcuni, variabile per tempi, quantità e componenti). Digiuno e dieta hanno per l’uomo molteplici significati, individuali e sociali: sono proposti come pratiche religiose o filosofiche, accanto alla meditazione o per favorire la disciplina interiore... Politici ed opinion leader hanno fatto del digiuno una forma di protesta, per difendere, “anima e corpo”, valori per loro non negoziabili. In medicina, digiuno e dieta sono approcci terapeutici presenti fin dall’antichità. Ma sono veramente pratiche adatte a tutti? Chi li può affrontare, come e per quanto tempo?
Prima di rispondere, è necessario comprendere che digiuno e diete inducono sempre modifiche metaboliche ed ormonali, diverse a seconda della durata o del fatto che si tratti di restrizione o di totale privazione alimentare. Dopo un pasto, nelle prime 4-5 ore si completa l’assorbimento dei nutrienti ingeriti e l’energia per espletare le varie funzioni vitali deriva principalmente dagli zuccheri presenti nel fegato (glicogeno). Poi, se il digiuno continua, l’energia viene ricavata dalla degradazione (catabolismo) di proteine e grassi da cui il fegato, uno straordinario laboratorio chimico, riesce a creare glucosio di cui si nutriranno cuore, cervello e muscoli. Se il digiuno continua oltre le 24 ore, il catabolismo dei grassi crea un accumulo di acetone, aceto-acetato e β-idrossibutirrato (chetoni) che possono acidificare il sangue (“chetosi”) che, in assenza di insulina, può diventare “chetoacidosi”: una temibile complicanza del diabete!
Le persone con diabete, pertanto, dovrebbero essere caute nell’aderire a digiuni o diete povere di carboidrati, sebbene questo non sia proibito. Che si tratti di scelte religiose o terapeutiche, finalizzate al calo ponderale, alla preparazione atletica o alla cura di altre patologie, è però necessaria un’attenta supervisione del diabetologo, con eventuale modulazione della terapia farmacologica.
Due esempi.
I pazienti di fede islamica che vogliono osservare il Ramadan, devono essere sottoposti ad una valutazione del rischio e dovrebbero ricevere consulenze specifiche sul programma nutrizionale e terapeutico.
Sempre più diffuso è poi il desiderio di aderire a diete a basso contenuto di carboidrati o “chetogeniche” (meno di 50 g giornalieri), poiché molto efficaci nel determinare un calo ponderale a breve-medio termine. In questo caso, le linee guida internazionali per il trattamento del diabete riconoscono i benefici raggiungibili nella riduzione dei valori glicemici, pressori e dei farmaci per controllarli, ma mettono in guardia sulle possibili condizioni di rischio: l’introito compensatorio o l’accumulo metabolico di proteine e grassi può infatti risultare dannoso in caso di insufficienza renale, epatica, cardiopatia, pneumopatia, interventi di chirurgia maggiore, infezioni severe, gravidanza, allattamento. Inoltre, il rischio di chetoacidosi è aumentato in pazienti con diabete tipo 1 (spesso giovanile e con necessità di terapia insulinica) ed anche da alcuni farmaci che facilitano l’eliminazione di glucosio con le urine, utilizzati per il trattamento del diabete tipo 2 (più comune nell’adulto, spesso con eccesso ponderale).
In conclusione: “Per allungare la tua vita, diminuisci i tuoi pasti” (B. Franklin), ma… con prudenza e supervisione, soprattutto se hai il diabete!
Autore: Marina Valenzano
Marina Valenzano è medico specialista in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo. Attiva particolarmente nell’ambito delle tecnologie per la cura del diabete mellito, attualmente collabora su progetti di ricerca ed assistenziali con il servizio di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo ed il Dipartimento di Scienze Mediche presso la Città della Salute e della Scienza di Torino.
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