Le polveri sottili condizionano negativamente la nostra aspettativa di vita.

Una componente importante dell’inquinamento atmosferico è rappresentata dalla sostanza particolata (particulate matter, PM, in inglese), aerodispersa. Le dimensioni del PM fanno riferimento al diametro aerodinamico delle particelle e si esprimono in micron (un millesimo di millimetro). Il PM più nocivo per la salute è con diametro inferiore o uguale ai 2.5 micron (PM2.5, cosiddette polveri sottili), perché penetra nei nostri polmoni fino agli alveoli e quindi si diffonde nel sangue. Il PM2.5 deriva dal riscaldamento (1/3 del totale), allevamenti (17%), trasporti stradali (14%; per usura di freni, pneumatici e manto stradale), attività industriali (10%), trasporto non stradale (8%), etc.

L’inquinamento dell’aria aumenta il rischio di contrarre molte malattie gravi come infarto, ictus, malattia polmonare cronica ostruttiva, asma e diversi tipi di cancro (al polmone, bocca, gola ma anche pelle, prostata e seno). Ciò spiega perché l’inquinamento atmosferico sia la causa ambientale più importante nel ridurre l’aspettativa di vita e tra le cause più frequenti di morte e ciò è vero non solo per esposizioni croniche ma anche per esposizioni brevi, di ore o pochissimi giorni, come può capitare in caso di gravi incendi. In generale, a livello globale l’effetto sulla mortalità del PM2.5 è paragonabile a quello del fumo di tabacco, tre volte maggiore all’effetto dell’abuso di alcool e 7 volte più alto del rischio rappresentato dall’AIDS. E’ per questo che la EU ha abbassato i livelli consigliati di PM2.5 da 25 a 10 microgrammi/m3 aria prevedendo che se i 15 stati membri che superano questa soglia la raggiungessero si guadagnerebbero 80 milioni di anni di vita (es: 1 anno di vita per 80 milioni di cittadini europei, oppure 2 anni per 40 milioni, etc.). In realtà, anche questo livello auspicato non è ottimale e l’OMS suggerisce di scendere alla soglia di 5 microgrammi/m3.

Cina, India, Pakistan, Bangladesh, Indonesia e Nigeria producono il 75% di PM2.5 nel mondo (pur se è giusto osservare che la Cina ha adottato una politica estremamente aggressiva e di innegabile successo per ridurne la produzione) e ne soffrono le conseguenze in termini di alti tassi di mortalità. Per esempio, un cittadino in Bangladesh (il paese più inquinato), perde in media 7 anni di vita a causa dell’inquinamento, mentre negli US (paese con una efficiente politica anti-inquinamento, grazie ad una legge ad hoc del 1970 via via migliorata fino al 1990) ne perde circa 4 mesi, 20 volte meno! In Italia i dati non sono buoni: abbiamo circa 80mila decessi all’anno per inquinamento e Brescia, Bergamo e Vicenza sono fra le città europee con più alta mortalità attribuibile al PM2.5. (le migliori sono le città scandinave ed irlandesi). I risultati in US, nei paesi del nord-Europa e financo in Cina dimostrano come vigorose politiche anti-inquinamento siano possibili e costellate di successo con il coinvolgimento di amministrazione pubblica, settore sanitario, industria e altri attori fondamentali sotto il coordinamento ed il supporto economico dei governi dei vari paesi a loro volta condizionati da precise e pressanti richieste dell’opinione pubblica. Come sempre, dipende anche da ognuno di noi.

Autore: Vincenzo Trischitta

 
 

Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.

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