Il rischio di trombosi venose nelle gravidanze ottenute con tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Introduzione

Le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) sono sempre più utilizzate nei Paesi industrializzati, poiché per ragioni socio-economiche, si è spostata in avanti l’età media della prima gravidanza. Tali tecniche comportano l’induzione farmacologica di una “super-ovulazione”, indotta tramite l’ausilio di ormoni che tuttavia, come gli estro-progestinici, possono aumentare il rischio di trombosi venose e/o embolie polmonari (TEV). Tale rischio è piuttosto basso in termini assoluti (circa 1:1000 cicli di induzione), ma dieci volte più alto rispetto a quello della popolazione generale di pari età.

Inoltre, è da sottolineare come le tecniche di PMA sono gravate dal rischio di sindrome da iperstimolazione ovarica, una temibile complicanza (per fortuna sempre più rara grazie alla messa a punto ed all’ uso di principi attivi e protocolli sempre migliori) che si può verificare in circa il 3-8% dei cicli farmacologicamente indotti. Questa sindrome è caratterizzata dal passaggio di liquidi dal compartimento vascolare a quello extravascolare (la parte acquosa del sangue finisce, cioè, intrappolata nei tessuti), che causa notevole contrazione della diuresi ma soprattutto emoconcentrazione, aumento dei livelli dei fattori della coagulazione e, conseguentemente, del rischio fino a 100 volte di TEV.

Se ci si concentra sulle donne in gravidanza, il rischio di TEV è più alto in donne che l’hanno ottenuto grazie alla PMA, rispetto a donne con gravidanza spontanea.

Infatti, due studi, condotti sul registro nazionale svedese dei parti che, si riferiscono agli anni 1990-2008, evidenziano che il rischio di un evento TEV in oltre un milione di gravidanze post-PMA è circa 10 volte maggiore di quello osservato in donne con gravidanze spontanee (0.2- 0.4% vs. 0.02%) (1, 2). Studi condotti sul registro nazionale danese negli anni 1995-2005 (3) confermano un più alto rischio di TEV (0.3% vs. 0.1%) in gravidanze post-PMA rispetto a quelle spontanee.

In Italia, purtroppo, non disponiamo di registri nazionali di gravidanze spontanee o post-PMA. Tuttavia in Puglia, utilizzando le informazioni ottenute da un database ospedaliero (informatizzato dal 2010) ed incrociandole con i dati disponibili nei CEDAP (i certificati di assistenza al parto, che consentono di risalire ad informazioni relative non solo alla gravidanza per il quale il certificato è stato redatto ma anche per le gravidanze precedenti ed anche l’ informazione relativa ad una eventuale PMA) siamo riusciti a stimare che, nel periodo 2000-2010, l’ incidenza di TEV post-partum era 0.85% e 0.18%  rispettivamente nelle donne con gravidanze  indotte da PMA o spontanee. Questo studio pilota fornisce i primi dati in Italia e più in generale nel Sud-Europa e sottolinea l’ importanza della consapevolezza da parte degli operatori del settore ma anche delle donne che programmano la loro gravidanza del rischio tromboembolico non solo nelle gravidanze naturali, ma  anche e soprattutto nelle gravidanze successive a PMA.

1-    Fertil Steril. 2012 Jan;97(1):95-100

2-    BMJ. 2013 Jan 15;346:e8632

3-    Hum Reprod. 2014 Mar;29(3):611-7.

4-    BMJ Open. 2015 Oct 6;5(10):e008213

Autore: Elvira Grandone

Elvira Grandone, medico ricercatore. Si occupa di malattie monogeniche e multifattoriali, particolarmente coinvolta in progetti di ricerca sulla salute della donna. Autrice di numerosi articoli su riviste internazionali e di linee-guida nazionali sul rischio tromboembolico nella donna e sulla gestione di patologie ostetriche. Co-autrice anche di un documento coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità sul rischio trombotico da contraccettivi orali.

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