Il significato di probabilità nella ricerca biomedica
Molti studi scientifici danno luogo, talvolta, ad aspri dibattiti tra i non addetti ai lavori. Il senso comune, accompagnato da esperienze personali eventualmente spiacevoli, può portare ad interpretazioni singolari. Le nozioni di probabilità e di rischio, quantunque appartengano solidamente alla vita quotidiana, sono le più soggette a fraintendimenti. Conoscere da uno studio epidemiologico che il fumo è un fattore di rischio per l’infarto, non serve a far scomparire affermazioni come: “Nonostante il mio amico non avesse mai fumato è morto lo stesso d’infarto.”
Probabilità e rischio sono insomma strumenti del quotidiano, ma collidono di fronte all’urgenza umana di avere certezze riguardo al futuro. Non di rado i malintesi hanno il sopravvento.
Le leggi della scienza riguardano fenomeni collettivi e si esprimono a livello di popolazione mediante asserzioni universali del tipo “Ogni 1000 nati ci saranno 515 maschi e 485 femmine”. Data una serie di premesse (presenza di alcune caratteristiche o fattori, o - più propriamente - di cause), le conclusioni sono di natura probabile e non certa. Al contrario, ciò che ci si aspetta dalla scienza e dagli scienziati è proprio la certezza. È verosimile che questo malinteso abbia radici filosofiche profonde: la ricerca di leggi assolute e necessarie da parte dell’uomo. Sia la tradizione filosofica che quella scientifica, infatti, hanno sempre anelato all’assoluto, alla ricerca di leggi universali che fossero anche certe.
La scienza degli ultimi due secoli ha mostrato tuttavia che la natura dei fenomeni indagati - in quanto collettivi - è irriducibilmente legata alla probabilità. Così come Boltzmann studiò il comportamento dei gas come una popolazione di particelle piuttosto che predire l’andamento di particelle individuali, oggi una sperimentazione clinica si interessa dell’effetto medio di un trattamento farmacologico e non dell’effetto nel singolo paziente. Sapremo, così, quale percentuale di pazienti beneficerà dell’effetto del farmaco rispetto a chi non lo assume ma anche che non tutti i pazienti trattati ne beneficeranno; similmente, uno studio epidemiologico stabilirà che non tutti i fumatori svilupperanno l’infarto del miocardio, ma che la probabilità di questi sarà più alta rispetto ai non fumatori.
Il caso, l’indeterminismo sono nella natura stessa. La conoscenza probabile non è un ripiego o una forma di conoscenza provvisoria incompleta e, per di più, può essere quantificata. Un padre della statistica, Sir Ronald Fisher, ammoniva: “la natura e il grado di incertezza sono per se stessi suscettibili di rigorosa espressione”. La conoscenza scientifica deriva dunque le sue leggi da osservazioni empiriche che vengono generalizzate a livello di popolazione mediante espressioni di probabilità. Oscillazioni di queste leggi o particolari eccezioni delimitano solo il loro dominio di validità.
A meno di un certo fatalismo, sia per l’impossibilità di controllare tutte le condizioni iniziali di un fenomeno sia per l’immanente incertezza in natura, l’universo non appare come deterministico. La predizione, pertanto, resta la sfida più difficile della conoscenza scientifica. Le distorsioni dell’esperienza singola e le ambiguità del linguaggio non giovano alla comprensione. La composta ironia di Niels Bohr argomentava: “Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro.”
Autore: Fabio Pellegrini
Fabio Pellegrini è biostatistico presso il Consorzio Mario Negri Sud e l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza. Dal 1997 si occupa di ricerca metodologica e dei suoi fondamenti, in particolare di modelli di classificazione e predizione.
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