Le Cure Palliative
La parola “palliativo” rimanda, nella comune accezione, ad un idea di “inutilità”. Nell’ambito della salute “palliazione” fa pensare ad un intervento terapeutico che, in mancanza di una prospettiva di guarigione, è fondamentalmente superfluo. Ma, dal punto di vista etimologico “palliativo” deriva dalla parola Latina “Pallium”, che significa mantello. Come un mantello avvolge un corpo infreddolito adattandosi alle forme sue proprie e riscaldandolo, così le cure palliative hanno come obiettivo “l’avvolgere” il paziente (e la sua famiglia), prendendosene cura e proteggendoli nel momento della malattia a prognosi infausta.
Se non sempre si può guarire, sempre è possibile curare, prendersi cura. Le “intemperie” possono essere di diversa natura (sintomi fisici, psicologici, problemi sociali o burocratici) ma tutte sono affrontate, attraverso un approccio multiprofessionale, per migliorare la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie. Oltre il dolore fisico, che ne è solo una tra le tante sfaccettature, ogni aspetto del soffrire a causa della malattia viene preso in carico in maniera onnicomprensiva e con una visione globale della persona e della malattia. Tale visione olistica, che negli scorsi decenni della storia della medicina occidentale si era persa di vista, a volte soffocata dalla super-specializzazione e dall’iper-utilizzazione di alta tecnologia, viene dunque “riscoperta” dalle cure palliative. Negli ultimi anni le cure palliative sono state protagoniste, ad iniziare dai paesi anglosassoni, di un mutamento di prospettiva con ampliamento delle proprie sfere di azione.
Questo cambiamento riguarda in particolare alcuni aspetti. Innanzitutto non è più il solo paziente “terminale” a costituire l’interesse specifico della medicina palliativa ma qualsiasi malato affetto da patologia cronica in stato avanzato. Inoltre, se fino a qualche anno fa i potenziali destinatari delle cure palliative erano, nella stragrande maggioranza dei casi, persone affette da patologie oncologiche oggi la situazione si sta rovesciando. Alcuni studi documentano che dei 40 milioni di persone che nel mondo necessitano di cure palliative oltre la metà non è affetto da patologia oncologica ma da patologie cardiovascolari, degenerative, neurologiche o altre. Infine l’OMS afferma che le cure palliative “possono anche influenzare positivamente il decorso della malattia”, e “si possono applicare precocemente …in associazione ad altre terapie che hanno lo scopo di prolungare la vita...”. Dunque le cure palliative non si identificano più, come un tempo, con “le cure di fine vita” che ne rappresentano ormai solo una delle possibili applicazioni.
La medicina palliativa dunque non è necessariamente l’ultima stazione di un percorso diagnostico-terapeutico arrivato “al capolinea”, ma può essere anche una risorsa fin dalle fasi precoci della malattia cronica, in un’ottica di “cure simultanee” in cui l’approccio curativo e quello palliativo non sono alternativi ma coesistono, prendendo ora l’uno ora l’altro la regia dell’assistenza secondo l’evoluzione clinica e gli specifici bisogni del paziente. Tale integrazione opera una “continuità assistenziale”, garanzia di qualità di cura per pazienti con patologie cronico-degenerative che oggi rappresentano, dal punto di vista epidemiologico, organizzativo ed economico, una rilevante fetta del carico che grava sui sistemi sanitari dei paesi occidentali.
Autore: Marco Colotto
Marco Colotto è medico specialista in Medicina Interna e in Igiene e Medicina Preventiva.
Ha lavorato per anni nella medicina di urgenza e nella prevenzione cardiovascolare presso il Policlinico Umberto I di Roma e oggi prosegue l’attività clinica come libero professionista. Cura progetti di ricerca sul management dei servizi sanitari e sui percorsi integrati di cura, con particolare riferimento alla medicina domiciliare e palliativa.
E’ docente di Igiene presso l’Università Cattolica e membro del Comitato di Bioetica presso Antea, onlus pioniera dei servizi di cure palliative nel Lazio e in altre regioni italiane.
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