L’educazione continua in medicina
Il progresso delle scienze biologiche e mediche, negli ultimi decenni, è stato il più rapido ed esteso di tutte le scienze. Si calcola che in dieci anni le conoscenze della biologia e delle medicina diventino obsolete al 50%: in parte errate, in parte incomplete. Pertanto il medico che ha studiato e si è specializzato negli anno ’80, se non si è aggiornato, oggi può contare sulla solidità dei principi generali (non tutti, ma molti) e sulla correttezza del 25% circa delle procedure diagnostiche e terapeutiche che ha imparato allora.
In realtà i medici si sono sempre aggiornati, anche se in modo più o meno organizzato: articoli scientifici, discussione di casi clinici, relazioni ai congressi, internet, informatori delle aziende farmaceutiche.
Queste modalità di aggiornamento sono irregolari, spesso casuali, non accurate, a volte influenzate da interessi. Non garantiscono né la quantità né la qualità di un buon aggiornamento e quindi non garantiscono ai pazienti che i loro medici (chirurghi, odontoiatri, pediatri, cardiologi, etc.) sappiano utilizzare correttamente le moderne procedure ed i nuovi farmaci. Considerando che i medici hanno sia una grande responsabilità morale nel gestire un bene inestimabile come la salute ma anche una grande responsabilità sociale perché sono “ordinatori di spesa” per una parte importante del PIL, negli anni ’60, negli Stati Uniti, si è stabilito che l’aggiornamento dei medici doveva diventare un obbligo legale. Si è quindi organizzato un sistema di aggiornamento per i medici affidato agli ordini, alle società scientifiche, agli ospedali di insegnamento.
La quantità di aggiornamento è stata definita in una settimana (40-50 ore) l’anno. E questo CME (Continuous Medical Education, in italiano ECM, Educazione Continua in Medicina) è stato misurato in crediti formativi, 50 l’anno per un triennio o un quinquennio. Alla fine del periodo ogni medico deve dimostrare di aver adempiuto a questo obbligo. Senza questa documentazione non viene “ricertificata” l’abilitazione ad esercitare la professione, che in USA non è permanente per tutta la vita ma necessita di un conferma periodica. Ogni 5 anni bisogna dimostrare di aver “studiato ed appreso” le nuove conoscenze e le nuove procedure di diagnosi e cura nella propria specialità.
L’Europa e l’Italia hanno poi seguito questo esempio anche se i vincoli di obbligo (fino ad ora) sono stati meno stringenti e la “ricertificazione” periodica non è entrata in uso. In Italia è stato messo a punto un sistema ECM, informatizzato per le verifiche e le certificazioni, che sta andando a regime solo ora, dopo dieci anni di un percorso non sempre lineare ma che certamente è servito a far acquisire coscienza della necessità della formazione continua, oggi diffusa nel mondo sanitario. Sulla base del corretto principio che la performance sanitaria non dipende solo dal medico ma da tutta la filiera di operatori che partecipano alla diagnosi e terapia, il nostro Paese fin dall’inizio ha allargato il sistema ECM e tutti i professionisti della sanità (tecnici, infermieri, dietisti, fisioterapisti, etc.). Un sistema che coinvolge quasi un milione di operatori, con complessità e difficoltà che forse sarebbe stato meglio affrontare gradualmente.
Autore: Riccardo Vigneri
Riccardo Vigneri, Professore di Endocrinologia, past-president delle Società Italiana di Endocrinologia e di Diabetologia, svolge attività di ricerca su diabete, tiroide, tumori ormono-dipendenti. E' componente della Commissione Nazionale per la Formazione Continua in Medicina dal 2001.
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