Paleodieta. Verita' e falsi miti.
Una consolidata, vecchia iconografia mostra i Sapiens paleolitici intenti a cacciare mammut fra i ghiacci glaciali o a divorarne le carni crude. Ne è derivata l’idea che “la dieta carnivora è quella cui siamo geneticamente programmati”. Questo concetto è stato largamente divulgato e ulteriormente distorto soprattutto dopo alcune recenti pubblicazioni (il libro “The Paleo Diet” del 2010) che avrebbero fornito una supposta base scientifica. Da qui un fiorire di “Caveman Restaurant”, portali “Paleodiet” e “Paleozone Diet”. Fanno tutti riferimento ad una paleo-piramide iperproteica che pretende di essere coerente da un punto di vista evoluzionistico, corretta da un punto di vista nutrizionale e utile ad ottenere riduzione di peso con incremento di massa magra.
Rileggendo però con più attenzione gli studi che hanno valutato quale fosse l’alimentazione umana durante il paleolitico, emerge un quadro assai differente.
Certamente la caccia è stata sempre un’attività importante per il Sapiens paleolitico ed una scelta obbligata durante i periodi glaciali quando disponibilità di frutti ed erbacee commestibili era scarsissima e l’apporto di carboidrato limitato all’amido di radici bulbi, tuberi e cormi. La selvaggina aveva però concentrazioni di potassio cinque volte maggiori e contenuto in grassi tre volte inferiore rispetto a quelli di un odierno animale d’allevamento. Inoltre la tipologia di grassi era molto differente rispetto a oggi (per esempio, meno acidi grassi saturi e nessun acido grasso prodotto industrialmente). Ciò rendeva non aterogena un’alimentazione potenzialmente iperlipidica; oggi una dieta così è impossibile, irrealizzabile e pertanto improponibile.
Occorre poi ricordare che la disponibilità di carne non era costante: dotati di armi rudimentali, non sempre la caccia dei nostri progenitori paleolitici andava a buon fine. Si stima che avesse successo in media ogni 3-4 giorni ma spesso gli intervalli erano assai maggiori: studi effettuati su frammenti ossei di Sapiens denunciano segni di prolungato deficit proteico.
Soprattutto nelle aree mediterranee, la dieta carnea doveva (e poteva) essere facilmente integrata dalla raccolta di alimenti più svariati, non solo piante/bulbi commestibili ma anche semi e frutti oleosi, insetti, molluschi, crostacei, tartarughe, pesci, rettili/anfibi.
Pertanto la dieta paleolitica, soprattutto nell’area mediterranea, presentava un abbondante e quotidiano apporto di amidi e fibre. Il reale consumo di carni animali era contenuto e le proteine derivavano principalmente dalla fauna marina ricchissima di un certo tipo di acidi grassi (polinsaturi a lunga catena) che si ritiene abbiano costituito una delle principali chiavi evolutive nello sviluppo cerebrale dei Sapiens. Inoltre, questo tipo di alimentazione garantiva la contemporanea presenza di una consistente quota glicidica e di un alto apporto proteico entrambi necessari per “sfamare un cervello egoista” che si stava evolvendo e insieme sostenere le necessità di un “endurance running predatorio” di cui ancora si aveva bisogno.
Se poi consideriamo che questa dieta comprendeva un elevato apporto di fibre, uno scarso apporto di sale e si associava ad un’intensa, quotidiana attività aerobica ci accorgiamo di quanto la dieta “paleolitica” somigli sorprendentemente alla cosiddetta “dieta mediterranea”. In questi termini e con queste caratteristiche essa può rappresentare realmente il tipo di alimentazione alla quale siamo “geneticamente programmati”.
Autore: Franco Gregorio
Franco Gregorio, medico internista e diabetologo, responsabile della struttura dipartimentale di malattie metaboliche e diabetologia di Fabriano (AN). Per anni ha effettuato ricerca di base e ricerca clinica pubblicando numerosi lavori e collaborando con le principali società scientifiche (Associazione Medici Diabetologi e Società Italiana di Diabetologia). Negli ultimi tempi ha rivolto il suo interesse verso la medicina evoluzionistica con articoli e relazioni di taglio sia scientifico che divulgativo.
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