Una visione “manageriale” delle linee guida in Sanità
Secondo l’American Office for Technology Assessment (l’agenzia USA specificamente preposta alla valutazione delle tecnologie) per “tecnologia sanitaria” s’intende ogni strumento/processo concepito per ottenere un risultato in termini di conservazione, miglioramento, recupero della salute. Quindi, tecnologie sanitarie non sono solo dispositivi medici, protesi, farmaci e strumenti diagnostici e terapeutici, ma anche procedure medico-chirurgiche, singoli sistemi organizzativi e specifici servizi sanitari.
Questo reminder serve per sostenere l’ipotesi che, se è irrinunciabile sviluppare attività di valutazione delle tecnologie in sanità (Health Technology Assessment –HTA), è raccomandabile svilupparla per tutte le categorie enunciate e non, come si verifica abitualmente, solamente nel caso delle prime tre.
Un posto importante tra le ultime tre categorie è occupato dalle linee guida, tecnologie sanitarie a tutti gli effetti.
Se si ragiona sulle linee guida in questi termini, si rileva un primo problema.
Le linee guida mostrano di godere di una specie di immunità “valutativa” giustificabile solamente per i buoni propositi che stanno alla base della loro formulazione.
In altri termini, pochi paiono propensi a considerare che, come ogni tecnologia, le linee guida devono essere:
- verificate rispetto alla capacità di ottenere l’esito previsto nella pratica (effectiveness), essendo dimostrato che nessuna tecnologia produce il 100% dei risultati positivi anche quando è utilizzata dal “medico ideale” (quello che non sbaglia mai)
- giudicate in base al bilancio atteso tra benefici prodotti e rischi fatti correre al paziente
- dimostrate complessivamente sicure
- valutate rispetto all’impatto psico-sociale, etico, organizzativo, professionale, economico.
Un secondo problema è costituito dal fatto che non sollecitare l’attenzione dei medici sulla fallibilità delle linee guida quali tecnologie sanitarie contribuisce a farne una specie di totem cui essi affidano volentieri (acriticamente) le decisioni cliniche.
Il legislatore incoraggia questo comportamento, se è vero che la legge 189/12 al comma 1 dell’art 3 prevede che “l’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate non risponde penalmente”.
Se si considera che nel nostro sistema sanitario (per modalità di pagamento delle prestazioni, per litigiosità legale, per opposizione di interessi tra operatori di linea e amministratori sanitari, per riduzione oggettiva delle risorse disponibili) si è innescato un processo di deresponsabilizzazione dei medici, tanto preoccupante quanto al momento non reversibile, i rischi clinici connessi all’uso meccanico delle linee guida sono destinati ad aumentare.
Un terzo problema direttamente conseguente è che la sottovalutazione della fallibilità delle linee guida e il loro utilizzo a scopo difensivo fanno perdere di vista la loro natura di strumento di miglioramento dell’accessibilità alle conoscenze cliniche e di parametro di riferimento per la valutazione costruttiva dell’appropriatezza (a posteriori!) dell’agire medico.
Se si sommano le criticità delle linee guida (valutazione debole in termini di HTA, fallibilità non percepita, né descritta, uso acritico e deresponsabilizzato, scarso impatto sulla cultura del medico), è facile concludere che l’obiettivo primario del nostro sistema sanitario (assistere al meglio il paziente a costi appropriati al suo caso) corre il rischio di rimanere perennemente atteso e mai osservato.
Autore: Ubaldo Montaguti
Ubaldo Montaguti svolge attività di ricerca ed organizza incontri di studio e corsi di formazione sui servizi sanitari nell’ambito della Sezione di Sanità Pubblica e Management Sanitario dell’Accademia Nazionale di Medicina di cui è responsabile scientifico.
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