Che si fa se non bastano i soldi per curare tutti al meglio? S’interviene secondo l’etica del male minore.
Non più di 15 dei 35 milioni di malati AIDS oggi ha accesso alle terapie retro-virali che hanno migliorato sensibilmente la storia naturale della malattia. E solo i più fortunati, quelli dei paesi ricchi, sono trattati con l’ultimo di questi farmaci, meno tossico dei precedenti. Trattare tutti i pazienti al mondo con AIDS con la miglior terapia oggi disponibile costerebbe un totale di 4.35 miliardi di dollari. Si allargano le braccia e si dice che non ci sono i soldi. Succede così anche per molte altre malattie che mietono vittime, soprattutto nei paesi a reddito medio-basso o francamente basso: i soldi non ci sono!
Ma davvero ‘sti soldi non ci sono, visto che il PIL mondiale è di circa 80mila miliardi di dollari? Ci sarebbe da chiedere perché manchino i soldi per tutelare la salute quando, per esempio, si perdono 20-30mila miliardi di dollari all’anno per evasione/elusione fiscale, sopportata con varie modalità da molti paesi, anche tra i più importanti. Ma, ammesso e non concesso che manchino le risorse per curare tutti al meglio, cosa fare con gli attuali limiti economici? La risposta è semplice, dettata da un sano pragmatismo basato sull’etica del male minore.
Tanto per restare all’AIDS, è meglio che i malati dei paesi a basso reddito, dove non è accessibile il migliore dei farmaci retro-virali, non siano curati per niente o che lo siano con farmaci di prima generazione certamente efficaci e meno costosi (2,5 volte meno) ma che purtroppo sono anche maggiormente tossici? Immagino di sapere cosa risponderebbe un paziente cui fosse proposta questa scelta. Per la gran parte delle malattie, curare pur se non in maniera ottimale è meglio che non curare per niente. E lo stesso è, con le dovute proporzioni, all’interno di un paese ricco. Prendiamo l’esempio del diabete tipo 2, quello dei soggetti adulti e in sovrappeso. Negli ultimi 10 anni vi è stata un’esplosione di nuovi farmaci per il trattamento dell’iperglicemia i cui costi sono enormemente più alti dei farmaci tradizionali; ma quanti di questi nuovi farmaci modificano realmente la storia naturale della malattia? Pochissimi, allo stato attuale delle conoscenze. E scenari simili si osservano in molti altri settori della medicina.
E nel frattempo in Italia tutti, ma proprio tutti, dalle industrie farmaceutiche (e qui si capisce) alle società scientifiche, agli scienziati spesso consulenti delle industrie, ai medici e, infine, ai decisori politici non si preoccupano di governare le scelte migliori, combinando efficacia terapeutica e sostenibilità dei costi. Sembrano non comprendere l’esito finale di questa corsa verso il farmaco nuovo e costoso, ma non necessariamente migliore, o non tanto migliore, dei farmaci precedenti. Questa incongruenza ci porta, insieme con altre, dritti nel baratro della non sostenibilità del sistema sanitario universalistico che tutto il mondo c’invidia. E come detto, pur se con caratteristiche diverse, il problema è planetario.
Se non si decide con coraggio intellettuale di applicare l’etica del male minore con l’obiettivo di curare tutti pur se non tutti necessariamente coi farmaci migliori, l’esito è scontato: si curerà solo chi se lo può permettere; gli altri s’arrangino.
Autore: Vincenzo Trischitta
Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.
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