Cure urgenti per la medicina d’emergenza. Sarà possibile salvare il pronto soccorso?
Negli ultimi mesi è cresciuta sempre di più l’attenzione mediatica alla crisi dei Pronto Soccorso (PS) italiani. Le sue radici si trovano nella carenza del personale medico-infermieristico, nella riduzione dei posti letto ospedalieri e dei servizi territoriali con conseguente sovraffollamento, allungamento dei tempi di attesa e maggior possibilità di errore. A questo si aggiungono episodi di aggressività da parte dell’utenza nei confronti dei sanitari, schiacciati nella morsa del “troppo e troppo in fretta”, spettatori innocenti di dinamiche generali che non dipendono da loro. Vedendo i propri sforzi, sacrifici e competenze non più riconosciuti, sempre più spesso medici ed infermieri lasciano questa occupazione alla ricerca di un ambito professionale più appagante.
La pandemia da Covid19 ha accelerato e inasprito questa crisi, che non colpisce solo l’Italia bensì il mondo intero. In un recente editoriale canadese è stata proposta una soluzione per salvare la Medicina d’Emergenza-Urgenza (MEU): meno per fare meglio.
Alla base della MEU c’è il credo che ogni bisogno di salute sia importante e che ogni persona che si presenta in PS debba essere accolta, indipendentemente dalla sua condizione. Ma la MEU può colmare le lacune lasciate dagli altri servizi sanitari e contemporaneamente offrire cure rapide e di alta qualità? Risposta: no. Ne è una dimostrazione il pessimo stato di salute di questa categoria professionale, stanca, frustrata e demotivata. E purtroppo si tratta di un cane che si morde la coda, perché rende sempre meno attrattiva questa professione ai giovani medici e infermieri che si avvicinano al mondo lavorativo.
La soluzione? Ognuno può fare la sua parte. Le istituzioni innanzitutto, riorganizzando il sistema sanitario ospedaliero e territoriale; i sanitari, dai medici di medicina generale agli specialisti, fino a medici e infermieri di 118 e PS; ma anche i cittadini possono dare il loro contributo, affacciandosi o accompagnando i propri cari alle porte dei PS solo per congrui motivi di salute, ovvero disturbi di nuova insorgenza o variazione, che richiedono un pronto e tempestivo intervento da parte di personale qualificato in MEU.
Di ciò che può fare l’utenza per non abusare del PS è già stato scritto. Veniamo ai possibili elementi della riorganizzazione della MEU e del sistema sanitario in generale, in parte già proposti da varie società tra cui la Società Italiana Medicina d’Emergenza-Urgenza (SIMEU):
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Costituzione di percorsi di cura paralleli per la gestione della cronicità e fragilità, ad es. gli “Ospedali di Comunità” (vedasi gli anziani, spesso affetti da plurime malattie con un’alta complessità, che per nulla si giovano dell’ambiente caotico e intensivo del PS);
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Implementazione dei servizi territoriali, dalla medicina generale alle cure domiciliari, dalle prestazioni ambulatoriali ad accesso diretto (radiologia, cardiologia, piccola chirurgia) a quelle specialistiche;
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Riconoscimento di competenze, ruolo e lavoro di tipo usurante del personale di MEU, il quale dovrebbe potersi concentrare e dedicare alle reali condizioni di emergenza-urgenza, con ritmi di lavoro maggiormente sostenibili, giusti riposi e possibilità di formazione continua.
Se non salviamo la medicina d’emergenza rischiamo di perdere l’intero sistema sanitario nazionale; sta ad ognuno di noi provarci.
Autore: Tiziana Brambati
Tiziana Brambati è medico specialista in Geriatria. Ha lavorato presso il Dipartimento di Emergenza e Accettazione dell’Ospedale E. Agnelli di Pinerolo, dove ha svolto ricerca sugli accessi inappropriati in Pronto Soccorso. Attualmente lavora presso la Medicina Interna dell’Ospedale Civile di Saluzzo. Si interessa di progetti di conciliazione ospedale-territorio in particolare per i soggetti più fragili e con malattie croniche.
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