Il cambiamento climatico rappresenta un’emergenza sanitaria e come tale andrebbe finanziato.

Il cambiamento climatico aumenta la mortalità della popolazione mondiale. Ciò può accadere per diverse cause, dirette (ondate di calore, disastri ambientali) o indirette (malnutrizione, malattie infettive, etc.) ed è perciò difficile avere un calcolo preciso di questo fenomeno. Tuttavia, analisi approfondite suggeriscono che negli ultimi 20 anni siano morti 3,5-4 milioni di persone nel mondo (circa 170-200K/anno) e che nel periodo 2030-2050 sia ragionevole attendersi una mortalità ancora maggiore pari a circa 250K individui/anno.

I settori della società coinvolti nella gestione della salute dell’uomo (medici, biologi, società medico-scientifiche, ricercatori, dirigenti dei sistemi sanitari) dovrebbero quindi avere (e pretendere di avere) voce in capitolo nelle politiche relative al cambiamento climatico, all’inquinamento e più in generale alla salute del nostro pianeta perché questi elementi rappresentano ormai in maniera acclarata delle vere e gravi emergenze sanitarie.

In realtà, qualcosa si muove e all’ultima e ventottesima COP (Conference of the Parties) tenutasi a Dubai nello scorso dicembre, hanno partecipato per la prima volta anche 48 Ministri della Salute dei paesi ONU. Questi hanno firmato una dichiarazione comune ribadendo, tra le altre cose, che il cambiamento climatico rappresenta una vera e grave crisi sanitaria per affrontare la quale bisogna rafforzare i sistemi sanitari con adeguati finanziamenti ma anche lavorare per una graduale riduzione dell’uso dei combustibili fossili, fino al punto di abbandonarli completamente. Può sembrare poca cosa ma non è così anche considerando che la COP28 si teneva a Dubai sotto il coordinamento del governo degli Emirati Arabi, tra i massimi produttori di petrolio al mondo, su cui basa gran parte della propria economia.

Ma per tornare ai finanziamenti dei sistemi sanitari, è del tutto evidente come questi siano gravemente carenti a livello mondiale, con poi alcune criticità nazionali fra cui purtroppo dobbiamo annoverare il nostro paese che investe solo il 6,8% del PIL nazionale, maglia nera fra i paesi del G7, sotto la media OCSE e lontanissimo da quanto spendono paesi come Germania (10,9%), Francia (10,3%), Regno Unito (9,3%) e Spagna (7,3%), tanto per paragonarci a quelli di dimensioni e ricchezze simili al nostro. E se restiamo ai soli finanziamenti per aumentare la capacità “adattamento”, cioè difendersi dai rischi provocati dai cambiamenti climatici, l’insufficienza dei finanziamenti diventa clamorosa, incomprensibile.

Un esempio: per combattere la pandemia da COVID-19 nel mondo si sono spesi (giustamente!) in circa tre anni 9mila miliardi di dollari mentre sulle misure di “adattamento” i sistemi sanitari ricevono ogni anno solo 143 milioni di dollari. Ma proviamo a farli bene i conti: il COVID-19 ha ucciso nel mondo circa 7 milioni di individui in circa 3 anni, quindi a spanne 2-2,5 milioni/anno. Il cambiamento climatico ne uccide ogni anno 170-180mila, quindi circa 10-15 volte meno ma viene finanziato circa 20mila volte in meno, ci si imbarazza pure a scriverlo. La sottostima del problema a livello planetario è evidentissima.

Autore: Vincenzo Trischitta

 
 

Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.

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