Il mantra della sanita' "integrativa". Vera necessita' o sapiente strategia di marketing?
La crisi di sostenibilità del servizio sanitario nazionale (SSN) è da anni sotto osservazione. Con il definanziamento ormai irreversibile e l’incapacità a ridurre gli sprechi, la proposta più gettonata per ridare ossigeno al sistema è di potenziare il “secondo pilastro”, attingendo a risorse da “terzi paganti”. Questa soluzione si è fatta largo grazie ad un impianto legislativo frammentato che ha permesso alla sanità “integrativa” di diventare gradualmente “sostitutiva” e ad una martellante campagna che racconta come a causa di minori investimenti pubblici aumenterebbe il numero dei cittadini che, incapaci di pagare di tasca propria le spese sanitarie, rinuncia alle cure. Ma è davvero così? Analizziamo i dati.
- Definanziamento della sanità pubblica. Anche se dal 2013 al 2018 il finanziamento pubblico è aumentato di € 5,968 miliardi, nel periodo 2015-2018 ha subìto una riduzione di € 11,54 miliardi rispetto ai livelli programmati; dal 2010 al 2016 la spesa sanitaria è diminuita dello 0,1% annuo; il DEF 2018 ha ridotto il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021.
- Aumento della spesa out-of-pocket. Secondo l’ISTAT nel 2016 la spesa sanitaria privata ha superato i € 37,3 miliardi di cui oltre il 90% è a carico del cittadino con una spesa pro-capite di € 565, superiore alla media OCSE. Tuttavia tali spese solo in parte fronteggiano le minori tutele pubbliche, in quanto spesso sono utilizzate per acquistare beni e servizi futili, non sostenuti da basi scientifiche.
- Rinuncia alle cure. I dati apparentemente catastrofici derivano da un’indagine campionaria commissionata da una compagnia assicurativa su 1.000 cittadini ai quali è stato chiesto se, nel corso dell’anno, avessero rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria. In realtà, secondo l’indagine europea EU-SILC gli Italiani che hanno rinunciato a prestazioni sanitarie sono meno di 5 milioni, in linea con altri paesi europei. Inoltre, non conoscendo la reale necessità, urgenza e appropriatezza delle prestazioni non fruite, l’impatto del fenomeno sulla salute è difficile da stimare.
- Difficoltà economiche. L’indagine EU-SILC dimostra anche che solo il 10,5% degli Italiani ha dichiarato di non avere avuto i soldi per pagare le spese sanitarie negli ultimi 12 mesi.
L’assioma portante che incita a rafforzare il secondo pilastro finisce quindi per rivelarsi una sapiente strategia di marketing che combina dati reali (definanziamento) e interpretazione opportunistica dei dati sull’aumento dell’out-of-pocket di uno studio metodologicamente inadeguato. Eppur funziona! Infatti, il numero dei fondi sanitari integrativi e delle polizze assicurative è in crescita costante, il welfare aziendale è diventato il mantra di lavoratori e imprese: peccato che, contrariamente alla normativa originale, quasi il 60% delle prestazioni coperte dal secondo pilastro siano sostitutive di quelle già garantite dal SSN.
È indifferibile un Testo Unico per la sanità integrativa che contribuisca a salvare il SSN a patto di: attuare una governance nazionale dei “terzi paganti”; garantire le condizioni per una sana competizione; controllare che il secondo pilastro sia realmente integrativo (e non sostitutivo); non defiscalizzare servizi e prestazioni inefficaci e inappropriate e, soprattutto, tutelare il cittadino da derive consumistiche.
Autore: Nino Cartabellotta
Nino Cartabellotta (www.ninocartabellotta.it) è medico, specialista in medicina interna e gastroenterologia; si interessa di metodologia con competenze trasversali a tutte le professioni ed i livelli organizzativi del sistema sanitario. Fondatore nel 1996 del Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (www.gimbe.org), dal 2010 è presidente della Fondazione GIMBE. E’, inoltre, Direttore Responsabile di Evidence, rivista metodologica open access e Autore del blog “La sanità che vorrei”.
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