Less is more – Il caso dell'eccessiva prescrizione di farmaci.

Trattamenti multipli inappropriati, specialmente in pazienti avanti con gli anni, danneggiano la salute, creano disabilità, aumentano i ricoveri ospedalieri e, addirittura, il rischio di morte. Ma nonostante i dati in questa direzione siano ormai consolidati, si continua a osservare, in tutto il mondo occidentale, un eccesso di prescrizione medica. I motivi sono tanti ma fra gli altri c’è anche il tentativo da parte dei medici di ridurre il rischio di contenzioso col paziente che potrebbe lamentarsi di non essere stato curato adeguatamente, cioè abbastanza intensamente. In Italia, secondo la “Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari”, questo eccesso di prescrizione, che fa parte di un atteggiamento più generale, noto come “medicina difensiva”, costa circa 2 miliardi di Euro/anno, pari allo 0.15% del PIL; il 50% in più del tesoretto di cui si disputa in questi giorni di avvio della campagna elettorale.

Nel tentativo di arginare i danni da eccesso di prescrizione, si va affermando, pur se molto lentamente, il concetto di “de-prescrizione”, inteso come la riduzione o la cessazione di prescrizioni di farmaci, specie in pazienti anziani poli-trattati. Certo ci sono delle regole da seguire per avviare alla de-prescrizione un paziente ma si può fare senza arrecare alcun danno e, anzi, molto spesso migliorando le sue condizioni di salute. Studi clinici randomizzati mostrano, infatti, dati incoraggianti sulla reale efficacia della “de-prescrizione”.

I medici devono assumersi la responsabilità di una medicina meno aggressiva e meno costosa, imparando a gestire i limiti odierni delle conoscenze mediche con onestà intellettuale, personalità e consapevolezza della missione sociale che sono chiamati a svolgere. Certo, dovrebbero essere aiutati dai loro referenti istituzionali. In un’indagine dell’AgeNaS effettuata nel 2014 su 1500 medici ospedalieri, più del 50% degli intervistati ha ammesso di ricorrere alla medicina difensiva a causa di una legislazione sfavorevole e per non correre il rischio di essere citato in giudizio.

Ma anche i cittadini, quando purtroppo diventano “utenti sanitari” (pazienti, parenti di pazienti), devono fare la loro parte. Purtroppo, accanto ad una buona conoscenza di singole informazioni mediche (ormai si ottengono facilmente sul web e sui media, mai tanto prodighi di notizie su malattie, possibilità diagnostiche e varie terapie) manca il giusto approccio alle problematiche scientifiche, la capacità di ragionare con rigore metodologico che eviti speranze miracolistiche. Dobbiamo avere cittadini che non credano che la medicina sia una scienza esatta e che sappiano che l’assenza di risposte esaurienti alle loro domande o la mancanza di terapie efficaci per i loro malanni possono dipendere dai limiti intrinseci della medicina e non essere necessariamente il frutto d’incompetenza professionale. Ed proprio questo vuoto di conoscenza che le Istituzioni preposte devono colmare. Scuola, università, ordini professionali, assessorati alla salute, associazioni di professionisti e di scienziati, possono e devono concorrere a ridurre il tasso d’ignoranza scientifica del nostro Paese, con particolare riferimento ad alcuni settori che influenzano la vita di tutti i giorni, come quelli della medicina e della salute.

Autore: Vincenzo Trischitta

 
 

Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.

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