Troppo sale nella dieta
In USA, la FDA ha da poco avanzato la proposta all’industria alimentare di moderare il contenuto di sodio nei propri prodotti per far ridurre l’attuale consumo di sale (http://www.fda.gov/Food/IngredientsPackagingLabeling/FoodAdditivesIngredients/ucm253316.htm). L’obiettivo è di raggiungere un apporto di sodio di 2,3 g/die (il sale contenuto in un cucchiaino da tè) che, invece, è attualmente di 3,4 g/die; molto di più del nostro fabbisogno, pari a 1,5 g/die. Da cosa nasce la preoccupazione della FDA? Dal fatto che un eccessivo consumo di sale è la prima causa dell’ipertensione arteriosa, presente in un terzo degli adulti americani e prima causa di morte cardiovascolare per un totale di circa 1000 nuovi casi/die nei soli USA.
Purtroppo, nove americani su dieci hanno un consumo elevato di sodio. E quando le abitudini errate iniziano da bambini, è difficile poi modificare la preferenza al salato. Invece, la riduzione anche di soli 400 mg/die permetterebbe di evitare 32.000 infarti del miocardio e 20.000 ictus all’anno. Se dagli attuali 3,4 g/die di sodio si scendesse ai suggeriti 2,3 g/die negli USA si avrebbero circa 11 milioni di soggetti ipertesi in meno e questo nel corso di una decade eviterebbe mezzo milioni di morti, con un risparmio di 100 miliardi di dollari. Nessun intervento con gli attuali farmaci anti-ipertensivi riuscirebbe ad avere un effetto così straordinario sulla popolazione generale. Nel Regno Unito la riduzione del 15% dell’introito di sale nel periodo 2001-2013 ha prodotto una marcata riduzione della prevalenza dell'ipertensione arteriosa e, cosa più importante, la riduzione del 40% di morte cardiovascolare. E tutto questo beneficio senza effetti collaterali (i pochi descritti in studi mal condotti - e probabilmente di parte - sono stati sostanzialmente smentiti, purché non si scenda sotto la soglia di 1,5 g/die di sodio).
Ma perché la FDA si rivolge all’industria e non ai singoli cittadini? Perché oggi circa il 70% del sodio che introduciamo con la dieta è già contenuto nei nostri cibi prima che arrivino sulla nostra tavola, cosicché la semplice riduzione dell’uso individuale di sale da cucina non è sufficiente. E, tuttavia, qualcosa possiamo comunque fare anche nel nostro piccolo. Ecco una lista (in sintesi) della FDA (http://www.fda.gov/downloads/Food/IngredientsPackagingLabeling/UCM315471.pdf), rivolta ai singoli consumatori.
1. Leggere il contenuto di sodio negli alimenti preparati, scegliendo i prodotti che non forniscono più del 5% del fabbisogno giornaliero (è indicato proprio così nell’etichette). Da evitare quelli che forniscono il 20% o più del fabbisogno giornaliero.
2. Mangiare frutta e verdura fresca e comunque cibo fresco (non processato) preparato da voi stessi.
3. Insaporire i cibi con pepe, erbe e spezie, invece che col sale. Fare la stessa cosa al ristorante, ove possibile.
4. Fare spuntini “non salati”.
5. Sciacquare, prima dell’uso, i cibi in scatola contenenti sodio (tonno, vegetali).
6. Utilizzare cibo ricco in potassio (che contrasta l’effetto negativo del sale) come banane, bietole, succi di carota, arancia, melograno e prugna, yogurt non intero, patate, spinaci, patate dolci, pomodori e suoi derivati e fagioli bianchi.
Insomma, più sale in zucca e meno nel piatto!
Autore: Vincenzo Trischitta
Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.
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