Pubblicato il 18/10/16

Troppo sale nella dieta

A cena con un mio giovane parente gli vedo aggiungere sale in una zuppa di legumi. Poi a cena con un amico, valente ricercatore, e gli vedo aggiungere un sacco di sale a una succulenta bistecca di Angus. Qualche giorno dopo vedo una mia giovane collaboratrice, anch’essa una scienziata, aggiungere sale in un secondo piatto al self service. Allora mi sono arreso: qui dei danni del sale si sa poco. Ha ragione la Food and Drug Admnistration (FDA) americana che cerca di convincere industrie e singoli cittadini a non consumare troppo sale. Proviamo, allora, a dare il nostro contributo. (vt)
In USA, la FDA ha da poco avanzato la proposta all’industria alimentare di moderare il contenuto di sodio nei propri prodotti per far ridurre l’attuale consumo di sale (http://www.fda.gov/Food/IngredientsPackagingLabeling/FoodAdditivesIngredients/ucm253316.htm). L’obiettivo è di raggiungere un apporto di sodio di 2,3 g/die (il sale contenuto in un cucchiaino da tè) che, invece, è attualmente di 3,4 g/die; molto di più del nostro fabbisogno, pari a 1,5 g/die. Da cosa nasce la preoccupazione della FDA? Dal fatto che un eccessivo consumo di sale è la prima causa dell’ipertensione arteriosa, presente in un terzo degli adulti americani e prima causa di morte cardiovascolare per un totale di circa 1000 nuovi casi/die nei soli USA.

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Autore/i

  • Vincenzo Trischitta
     
     

    Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.

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